19 novembre 2016

KinderTrump Sorpresa

di Alessia Sacchi



Oltre che di soldi, Donald Trump si è rivelato un uomo ricco di sorprese.
Fino alla vigilia della chiusura dei seggi, infatti, si contavano sulle dita d'una mano quanti pensavano che il 45° Presidente degli Stati Uniti d'America avrebbe avuto il volto del miliardario newyorkese (o tycoon, come definito dai media locali). Eppure leggere le notizie lo scorso 9 novembre è stato per tutto il mondo  come svegliarsi la mattina di Natale: qualcuno ha ricevuto più regali di quanto si aspettasse e qualcuno un po' di meno, ma per la maggior parte delle persone sotto l'albero non c'era un bel niente.


Un Babbo Natale vestito a stelle e strisce arrivato in anticipo per il candidato repubblicano e i suoi accaniti sostenitori oppure un crudele scherzetto senza dolcetto per tutti quegli elettori che, d'accordo con vari sondaggi condotti da giornali ed enti governativi, davano già per scontata la vittoria della concorrente democratica Hillary Clinton: come interpretare l'esito delle presidenziali appena concluse è solo questione di punti di vista.
In entrambi i casi molti, anzi troppi i cittadini statunitensi non trovano nulla per cui festeggiare.  In oltre 25 città sono già stati riportati blocchi del traffico, danni ai negozi ed episodi di violenza, seppur sporadici, ai danni delle forze dell'ordine. Dall'Oregon al Texas fino allo stesso Stato di New York, marce e cortei raccolgono migliaia di persone scese in strada a protestare e si moltiplicano gli slogan contro il neo-eletto governatore: "He's not my president". Immigrati, studenti, persone di colore ma non solo stanno esprimendo, anche attraverso i social media, la loro rabbia e la paura per un governo che non predica certo la tutela delle minoranze. "He's not my president". Come dar loro torto, dopo che nei mesi scorsi sono state attribuite a Trump tutte le peggiori qualità? Xenofobo, sessista, sociopatico, razzista, omofobo: ogni giorno, spuntava una nuova ragione per definire il tycoon un nemico pubblico, più che un papabile inquilino della Casa Bianca.

In un testa a testa come questo, ogni singolo voto era fondamentale. Lo sapevano bene entrambe le parti, che nonostante argomentazioni agli antipodi hanno condotto una vera e propria caccia all'elettore. Con che risultati? Stando ai  sondaggi, ad appoggiare i provvedimenti anti-immigrazione quali la deportazione dei clandestini e la costruzione di un muro al confine con il Messico, le riforme economiche protezionistiche e la lotta al terrorismo di Trump ci sarebbero soprattutto uomini (con dovute eccezioni), bianchi, evangelici, sopra i quarantacinque anni, non laureati, con un reddito annuale fra i 50mila e i 250mila dollari.
Hillary Clinton, invece, con le sue politiche a favore dell'integrazione, dell'aumento del salario minimo, dell'utilizzo di energia pulita, di leggi che tutelano l'interruzione di gravidanza e il diritto di aborto ha conquistato i laureati, molti dei quali donne, i giovani fra i 18 e 29 anni, gli afroamericani, gli atei, gli ebrei, gli ispanici, i cittadini più poveri. E ha vinto, con quasi 196 mila voti in più rispetto al suo rivale. O meglio, avrebbe vinto...

Conteggio sbagliato o broglio elettorale? Se davvero la popolazione "voleva Hillary", che cos'è successo la notte dell'8 novembre?
Questo, carissimi "non americani", è semplicemente il "paradosso" del sistema elettorale americano che ha già  ribaltato le stime dei sondaggi non una, ma ben tre volte negli ultimi trent'anni. Concretamente, per Hillary Clinton i voti decisivi non sono stati 196mila ma 306, assegnati a Trump dai cosiddetti Grandi Elettori.


Si poteva prevedere un risultato del genere?
Nei suoi "primi 100 giorni da presidente", Trump ha già annunciato una bella inversione di marcia rispetto ai provvedimenti degli ultimi otto anni. Che la mentalità del nuovo governatore avesse ben poco in comune con quella di Obama o di Hillary era chiaro come il sole, ma ai cittadini starà bene? Possibile che, dalle ultime presidenziali nel 2012, abbia cambiato idea un'intera nazione? Cosa può aver spinto un paese come l'America dell'amministrazione Obama (aperto, multietnico, terra delle pari opportunità) ad abbracciare un atteggiamento aggressivo come quello repubblicano?  
La  risposta potrebbe averla Asra Nomani, giornalista e scrittrice musulmana, donna, immigrata, sostenitrice del leader repubblicano: "Sono una madre single che non può permettersi l'assicurazione sanitaria sotto l'Obamacare" dice. "Martedì ho guidato fino alla mia città in West Virginia, Morgantown, dove ho visto un’America rurale, che lotta ancora per sbarcare il lunario dopo otto anni di amministrazione Obama".
A far pendere l'ago della bilancia nella sua decisione, continua Mrs. Nomani, è stato soprattutto l'approccio democratico al problema del terrorismo:
"Mi ritengo una musulmana liberale che ha vissuto, in prima persona, l'estremismo islamico. Ma non ho condiviso l'atteggiamento di Barack Obama nei confronti del terrorismo islamico".
L'America vuole sentirsi sicura, protetta, forte come Trump ha garantito di poterla rendere.
Sarebbe, quindi, una critica all'ormai conclusa opera democratica più che una condivisione delle idee trumpiste? Un voto di protesta come quello che, con la Brexit di giugno, ha sancito l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea? Due nazioni dove i cittadini, sfiancati dalla crisi economica e spaventati dall'incubo del terrorismo, vogliono sentirsi più protetti, più ascoltati. Dove l'unica soluzione sembra un cambiamento drastico al vertice, con risvolti su scala globale. L'unica differenza? C'è di mezzo un mare, anzi, un oceano.

N.d.R.
Si dicono Grandi Elettori quei 538 cittadini distribuiti fra i 50 stati in base al numero di residenti, e incaricati di rappresentare nel Congresso Elettorale l'opinione più diffusa nella nazione di appartenenza. Se un candidato vince anche di un solo voto in un certo Stato, si garantisce il sostegno di tutti i Grandi Elettori che ad esso sono assegnati. Per arrivare alle urne con l'appoggio di 270 Elettori sui 538 totali e garantirsi la vittoria, ci si può concentrare sugli Stati che hanno più peso in Congresso (la California ha 55 delegati, il Texas 38 e lo Stato di New York 29) o cercare di accaparrarsi i cosiddetti "swing States" o Stati in bilico, non storicamente legati a nessun partito (i più importanti sono Florida, Ohio, Iowa, Pennsylvania e North Carolina). Quest'anno, gli Stati che hanno appoggiato Trump sono stati 37 su 50.

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